I Pici: un marchio di fabbrica della gastronomia Toscana

La Toscana è conosciuta in tutto il Mondo non solo per le sue bellezze artistiche e paesaggistiche, ma anche per i suoi sapori semplici e lineari, schietti e corposi, che ben incarnano le origini contadine. Tra le tipicità della tradizione Toscana non possiamo non citare i Pici, un tipo di pasta lunga, dalla forma spessa, porosa al tatto e al gusto, rigorosamente fatta a mano, “lontani parenti degli spaghetti”, come li definisce Giovanni Righi Parenti nel libro “La cucina toscana in 800 ricette tradizionali” (1991).

La storia dei Pici affonda le sue radici in epoca etrusca. Una prima testimonianza la troviamo nella celeberrima “Tomba dei Leopardi” di Tarquinia (V secolo a.C.), in un affresco raffigurante un banchetto: un servo porta a tavola una scodella contenete una pasta lunga, irregolare, che possiamo considerare i primi “antenati” dei Pici. Dalla cittadina del viterbese i Pici poi sarebbero arrivati in Val di Chiana, e da lì in tutta la Toscana. La zona di origine dei Pici sembra essere di confine tra Toscana, Umbria e Lazio, dove prendono nomi diversi come “lombrichelli” nel viterbese, “stringozzi” nel perugino, “pinci” a Montalcino, Pienza e Montepulciano o “bringoli” ad Anghiari.

Il nome “Pici” deriva dal gesto che si fa con il palmo della mano per far prendere all’impasto la forma tipica del Picio, quello che nel gergo culinario toscano è il verbo “appiciare”. Le correnti di pensiero però sono molte: c’è chi lo fa risalire alla figura di Marco Gavio Apicio (25 a.C. – 37 d.C.), uno dei più importanti gastronomi dell’epoca romana, autore dell’opera “De re Coquinaria” (L’arte della cucina). Altri invece sostengono che il nome derivi dalla località San Felice in Picis, cittadina della zona di Castelnuovo (Arezzo). Altri ancora ritengono che derivi dalla riserva di abete bianco di Piancastagnaio (Siena), chiamata Pigelleto, termine che presenterebbe una notevole assonanza con “Pici”.

I pici sono un piatto “povero” per la semplicità degli ingredienti: l’impasto è composto solamente da acqua, farina e sale. Per preparare i pici si impasta energicamente a mano per 10 minuti la farina con acqua tiepida e una presa di sale. Dopo aver lasciato riposare l’impasto per mezz’ora, si stende una sfoglia alta un centimetro, dalla quale si ricavano delle piccole strisce che vengono lavorate tra le mani, filando il Picio il più sottile ed uniforme possibile. I Pici poi vengono stesi su un panno di stoffa e impolverati con semola di grano duro, per evitare che si appiccichino.

La vera ricchezza dei Pici risiede soprattutto nella varietà dei condimenti: per tradizione venivano conditi solo con un po’ di olio o con un trito di cipolla. In tutto il territorio senese è possibile gustare il sapore inconfondibile di questa pasta. Ogni realtà, anche la più piccola, è capace di offrici una variante di questo straordinario prodotto: a Celle sul Rigo il Picio è con l’aglione (sugo a base di aglione, olio e pomodoro), mentre a Montepulciano è con le briciole (pane raffermo). A Montalcino, patria del Brunello, non può mancare il ragù, una volta cucinato solo per il pranzo delle domenica. Nella zona dell’Amiata i Pici sono conditi con funghi freschi. Proprio da questa grande diversità di proposte e preparazioni ha preso corpo “L’arte dei pici. Tradizioni a confronto”, manifestazione durante la quale “le tradizioni di ciascun territorio si confrontano proponendo ciascuna il proprio modo di fare e condire i Pici”. La particolarità della manifestazione è legata alla sfida tra le cuoche di Celle sul Rigo e da quelle di Montepulciano. I piatti vengono giudicati da una commissione composta da 20 esponenti della ristorazione che assegnano un punteggio ad ogni portata.

I Pici godono della denominazione italiana di Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT): il requisito per essere riconosciuti è quello di essere “ottenuti con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidati nel tempo, omogenei per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni”.

Andrea Sansoni