Il Monastero di Santa Maria dell’Alberese

Il Monastero benedettino di Santa Maria di Alberese sorgeva poco lontano da Talamone, in posizione dominante sulle colline maremmane di Poggio Lecci e Poggio Uccellina, nella Diocesi di Sovana. Assoggettata a questo antichissimo cenobio era anche la vicina chiesa di Monte Calvo. Solo più tardi (intorno al XVI secolo) questo complesso fu intitolato a San Rabano (Rabano Mauro, 780-856).

La prima attestazione del cenobio benedettino risale al 1101 e fu una concessione fatta dal Vescovo di Roselle Ildebrando all’abate dell’Alberese Domenico.

Nei decenni successivi ed almeno fino a circa il 1230 invece questo monastero risulta direttamente sottoposto alla Santa Sede.

Intorno all’anno 1280 fu concesso ai Cavalieri Gerosolomitani del Priorato di Pisa da Papa Niccolò III e poi a loro riconfermato nel 1317 da Giovanni XXII.

Ma agli inizi del Trecento le forti sollecitazioni per il controllo di quest’area portarono a numerosi ed aspri scontri. L’abbazia infatti sorgeva in una posizione militarmente strategica e fu oggetto delle mire espansionistiche dei senesi che avevano ripetutamente cercato uno sbocco al mare e ci erano riusciti accaparrandosi il porto di Talamone (per compra) nel 1303.

Proprio nei primi del Trecento il monastero, benché ufficialmente sottoposto ai Cavalieri Gerosolomitani, continuava a subire assalti e scorrerie da parte di bande finanziate dai vicini Conti di Santa Fiora prima, e ad una vera e propria occupazione, con conseguente cacciata dei cavalieri, nel 1336 da parte dei ribelli grossetani capeggiati dalla famiglia Abati Del Malia.

L’occupazione della famiglia Abati in particolar modo scatenò le ire di Siena che sosteneva formale accusa in quanto gli occupatori non si erano peritati nell’asportare libri sacri e paramenti destinati al culto. Poiché all’Ordine non era riuscito a riprenderselo con le proprie forze, spettò al Comune di Siena liberare il complesso monastico, con notevoli spese e pericoli. Ne conseguì che alla fine lo stesso monastero passò sotto la protezione del Comune di Siena pur rimanendo una Precettoria gerosolomitana a tutti gli effetti.

In pratica i gerosolomitani rientrarono in possesso amministrativo del monastero e del fortilizio di Alberese, riservandosi anche gli utilizzi liturgici, mentre i senesi ebbero l’uso militare del sito e questo a partire dall’ottobre 1336 quando Giovanni del fu Arcolano Scotti, procuratore del Comune di Siena si fece promettere da Frate Giovanni de Riparia (Priore Pisa dell’Ordine Gerosolomitano di S. Giovanni) di tenere in perpetuo il fortilizio dell’Alberese sotto la giurisdizione di Siena.

Il Priore si riservava di mantenere all’Alberese ministri, officiales, fratres et familiares sia per celebrare i divini uffici, sia per svolgere l’ordinaria amministrazione e s’impegnava a non esigere pedaggi o gabelle da coloro che attraversavano il territorio dell’Alberese per recarsi a Talamone.

Il tutto fu ratificato nel Capitolo senese del 1337 alla presenza di tutti i precettori dell’Ordine di S. Giovanni e con l’avallo del Gran Maestro, ma i buoni propositi vennero di nuovo a mancare nel 1344 quando, una nuova ribellione di Grosseto e, forse un segreto accordo con alcuni cavalieri, coinvolse di nuovo il monastero che fu a breve assediato e riconquistato da Siena.

Fu allora che, in accordo con il Papa, l’Alberese entrò definitivamente a far parte del Contado di Siena con tanto di obbligo di far sventolare la bandiera di questo Comune e di dipingere sulle mura “arma populi communis senarum”, ma non solo: i gerosolomitani avrebbero avuto diritti sul sale prodotto nel territorio circostante, ma con l’obbligo di vendita al solo comune di Siena. In cambio i senesi avrebbero lasciato un piccolo contingente in aiuto e difesa dei cavalieri che furono reinsediati nell’Alberese.

Dopo la peste del 1348 il monastero era in una situazione devastante. Quasi tutti i cavalieri erano deceduti ed alcuni dissidi sui confini di terreni avevano di nuovo creato frizioni tra l’Ordine ed il Comune di Siena, ma stavolta fu proprio un “friere di S. Giovanni” a prendere le armi e cacciare i senesi dal monastero fortificato. Il traditore fu arrestato e poi rilasciato, ma i rapporti tra i gerosolomitani ed il Comune di Siena continuarono ad essere tesi fino a che, con l’intervento del Papa Urbano VI, Siena fu costretta a consegnare (vendendo) l’Alberese al Priorato di Pisa e l’Alberese tornò di nuovo una precettoria indipendente. Degli anni successivi sappiamo ben poco se non i nomi dei Precettori che si succedettero alla guida del fortilizio e che intorno al 1474 uno di questi (Benuccio Capacci da Siena) spostò la sede gerosolomitana più in basso per motivi di sicurezza. Nel nuovo sito, più vicino alla strada Aurelia, i cavalieri costruirono anche una nuova chiesa (anno 1587), stavolta dedicata a S. Giovanni Battista. In seguito la precettoria venne trasformata in Villa Granducale.

Di quello che fu l’antica struttura abbaziale rimangono ancora gran parte dei ruderi recentemente restaurati: la ex chiesa a navata unica con le due cappelle laterali sopra le quali sorgeva la cupola, ma che in oggi risulta scoperchiata. La facciata ha ancora il portale d’ingresso decorato e chiuso in alto da un arco a tutto sesto con lunetta. La parte posteriore dell’edificio termina con tre absidi dei quali il più grande ha anche una monofora in stile romanico. La torre campanaria è in stile romanico, a sezione quadrata ed è ancora imponente e ben conservata

Intorno all’edificio sono abbastanza riconoscibili le strutture tardo-medievali aggiunte quando fu fortificato l’intero complesso.