Il sacco di Volterra

La città di Volterra, che nella prima metà del XII secolo era riuscita ad emanciparsi dal vescovo e ad organizzarsi in libero Comune poteva puntare in alto, con le ricchezze che il suo territorio possedeva ed in particolar modo quelle del sottosuolo come zolfo, vetriolo e allume.

Proprio l’aspra lotta contro i vescovi (della famiglia Pannocchieschi) aveva fatto sì che il giovane Comune si tenesse ben lontano da altri scontri che in quel periodo caratterizzavano le altre città vicine, con le quali cercò sempre di mantenere pace e conciliazione onde evitare coinvolgimenti spiacevoli.

Pochi problemi dunque con le grandi potenze di Siena, Pisa, Lucca e Firenze.

Agli inizi del XIV secolo però, i mai attenuati contrasti interni tra il potere ecclesiastico e quello comunale, portarono all’affermazione della Signoria dei Belforti, finita tragicamente con il taglio della testa di un loro consorte nel 1361, reo di aver trattato la vendita della città ai pisani. Purtroppo, per riportare l’ordine in città i volterrani si rivolsero a Firenze che chiese in contropartita la custodia della Rocca e l’esclusione dal governo di alcune famiglie vicine ai Belforti.

Da allora la repubblica volterrana, nonostante la formale indipendenza, divenne succube di Firenze e ne subì le progressive ingerenze. Proprio uno di questi atti, l’imposizione del catasto fiorentino alla città nel 1427, sfociò in una rivolta popolare.

Furono vani i tentativi di risolvere la questione per via giuridica e nemmeno bastò l’intervento come pacificatore di Cosimo dei Medici. Infine, gli ambasciatori di Volterra furono incarcerati e gli eserciti di Firenze saccheggiarono diversi castelli di quel territorio, non mancando di attuare diverse esecuzioni capitali.

Solo l’acuirsi della guerra con Lucca convinse i fiorentini a ritirare il decreto catastale per non aprire un nuovo fronte di scontro.

Ma la frizione più grande con Firenze accadde negli anni Settanta del secolo XV e culminò con il famoso “sacco di Volterra” del 1472.

Le cronache che ne parlano di questo avvenimento sono moltissime e le versioni contrastanti. Numerosi gli attori coinvolti, famiglie in contrapposizione, interessi personali che videro in prima linea lo stesso Lorenzo de’ Medici e il duca di Montefeltro.

Nel 1470 una società presieduta dal senese Benuccio Capacci aveva ottenuto dal Comune di Volterra l’appalto di un’allumiera in località Sasso. L’allume, per chi a quei tempi produceva lana o pelli era fondamentale perché era usato sia come sbiancante di pelli che come fissante per colorare la lana. Lo sapeva bene il Capacci che, con i suoi fratelli, aveva da anni accumulato ricchezze immense in questo settore. Figlio di Cristofano Capacci, uno dei politici più importanti di Siena aveva intrapreso con i fratelli (Salimbene, Andrea e Conte) importanti traffici e speculazioni già da diversi anni sia nel settore dei prestiti che nella produzione della lana e nel traffico dell’allume, tanto che nella denunzia dei redditi della Repubblica di Siena del 1465, Andrea, a nome degli altri fratelli, aveva dichiarato uno dei maggiori redditi della città.

Ma per la concessione dell’allumiera di Volterra aveva allargato la sua compagnia ad altri soci e precisamente a Geri Capponi, Antonio Giugni e Bernardo Bonagiusti, fiorentini e a Paolo Inghirami (detto Pecorino), Bernardo Riccobaldi e Benedetto del Bava, volterrani.

La possibilità che l’allumiera venisse locata a questo gruppo di soci aveva provocato tuttavia le vibrate proteste del Comune di Volterra che si riteneva danneggiato da un canone di affitto ritenuto decisamente esiguo in rapporto alla ricchezza del giacimento e che quindi considerava compromesso l’interesse della comunità”.

La disputa si inasprì nel 1471 quando un gruppo di volterrani capeggiato da Francesco Contugi, Francesco Buonamici e Niccolò Broccardi occupò la cava provocando il disappunto del Capitano del Popolo, il fiorentino Ristoro Serristori.

Fu allora che il Consiglio Generale di Volterra nominò come arbitro Lorenzo de’ Medici, il quale confermò l’affitto alla compagnia del Capacci provocando la rivolta della popolazione. Da alcune lettere sappiamo che la scelta di Lorenzo de’ Medici non fu del tutto incondizionata in quanto anche lui aveva in questa società alcune quote azionarie. Per sedare definitivamente la rivolta, che ormai era sfuggita di mano, i fiorentini assoldarono il Montefeltro (duca d’Urbino), fornendogli un contingente di dodicimila fanti e duecento cavalli. Assicuratisi che Siena non sarebbe in alcun modo intervenuta (Firenze e Siena avevano da poco stipulato una pace), si precipitarono pesantemente su quelle terre e posero assedio alla città.

Il diciotto giugno del 1472, dopo venticinque giorni di assedio, riuscirono ad entrare in Volterra e fu un massacro che non risparmiò uomini, donne e edifici.

Le cronache però divergono su come sia avvenuta l’entrata delle truppe fiorentine in Volterra. Secondo alcune versioni alcuni cittadini tradirono la loro patria e una notte, in accordo coi nemici, aprirono loro la Porta a Selci con il patto che le donne e i beni non fossero violati, mentre altri sostengono che i fiorentini fossero riusciti ad aprirsi una breccia tra le mura bombardandole.

Rimane certo che dentro Volterra accaddero crimini, incendi, ruberie e violenze indicibili tanto che la vicenda è passata alla storia come il “sacco di Volterra”.

Cessata l’infame tragedia, Lorenzo de’ Medici fece innalzare una fortezza dov’era la chiesa di S. Pietro e il palazzo del vescovo e quella fortezza conserva tuttora il nome di Mastio di Volterra”.

Dopo questo fatto Lorenzo de’ Medici sostituì agli interessi dei Capacci quelli dei soci fiorentini che ottennero lo sfruttamento delle miniere, indennizzando però i Capacci con la cifra di 1.000 fiorini (pagati solo dopo intervento del governo senese, in dodici anni dall’arte della lana di Firenze).