La battaglia di Anghiari

Nel 1440, sulla piana sottostante il castello di Anghiari (AR) si svolse una celebre battaglia tra truppe milanesi e fiorentine.

Sebbene gli eserciti in campo non fossero composti da un numero particolarmente alto di soldati la posta in palio non era poca cosa in quanto erano in ballo gli equilibri politici ed economici dell’Italia centrale e forse dell’intera penisola.

Da una parte i Visconti che avevano sottomesso gran parte del nord e giocato un ruolo rilevante anche negli equilibri interni delle repubbliche toscane e dall’altra Firenze che si era da poco alleata con Venezia ed il Papa.

La lotta a dire il vero era imperniata sul duello tra Milano e Venezia, ma con il passare del tempo aveva finito per coinvolgere città e territori molto più vasti.

Siena ad esempio nei primi anni del Quattrocento aveva dato vita ad una Signoria viscontea ed anche Firenze inizialmente parteggiò per il Duca di Milano, ma sulle rive dell’Arno, una volta saputo della morte del papa anti-fiorentino Martino V (1431), si pensò bene di cambiar casacca e di recuperare il rapporto con lo Stato romano rappresentato dal nuovo pontefice Eugenio IV, chiaramente più propenso ad arrestare l’ascesa dei Visconti.

Le truppe ducali di Filippo Maria Visconti, guidate dal condottiero Niccolò Piccinino si erano già scontrate con quelle veneziane del Carmagnola nel 1427 e nel 1430 presso Lucca, ed entrambe le volte i milanesi ebbero ragione dei fiorentini. Nel 1431 e 1432 il Piccinino aveva di nuovo sconfitto i veneziani a Cremona e a Delebio ed i pontifici a Castel Bolognese, riuscendo ad acquisire Bologna, ma fu sconfitto presso Barga nel 1437 da Francesco Sforza, altro Capitano di ventura. Nel 1339 i milanesi furono di nuovo sconfitti dai veneziani sotto Padova (a Tenna), ad opera del Gattamelata.

Nel giugno 1440 dunque, dopo i detti precedenti, le due coalizioni si ritrovarono nella pianura tra Sansepolcro ed Anghiari.

L’esercito della coalizione comprendeva 4000 soldati papalini guidati dal cardinale Trevisano, un pari contingente fiorentino ed una compagnia di 300 cavalieri di Venezia, guidati da Micheletto Attendolo, oltre ai volontari di Anghiari.

Le forze milanesi, sempre guidate dal Piccinino erano in numero di poco inferiore e comprensivo di duemila volontari di Sansepolcro, oltre a un contingente di arcieri genovesi.

Il pomeriggio del 29 il Piccinino sferrò un attacco a sorpresa, ma l’Attendolo si fece trovare pronto ed i cavalieri veneziani riuscirono a bloccare l’avanguardia milanese sull’unico ponte della zona che divideva le due coalizioni. Questa resistenza, nonostante una lenta ma progressiva avanzata dei milanesi permise l’arrivo delle truppe papaline che attaccarono il nemico sul fianco destro e lo costrinsero al ripiegamento. La battaglia proseguì per quattro ore, fino a quando una manovra di accerchiamento tagliò fuori un terzo delle truppe milanesi e, dopo un’intera nottata di combattimenti alla fine i fiorentini prevalsero.

Questa battaglia fu raccontata in modo diverso dagli scrittori, a seconda dei loro orientamenti politici e delle simpatie nei confronti delle due fazioni.

Il Machiavelli ad esempio la ridimensiona ironicamente: “Ed in tanta rotta e in sì lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì che un uomo, il quale non di ferite né d’altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto spirò”.

In effetti, chi ha voluto analizzare il numero delle perdite (vedi lo studioso inglese Michael Mallett) è arrivato ad ipotizzare un numero di circa novecento morti.

Senz’altro non fu uno scontro epico, di quelli con migliaia di morti e la sua maggior fama la deve soprattutto alla rappresentazione pittorica che ne fece Leonardo da Vinci a Palazzo Vecchio. L’opera purtroppo andò perduta ma ne rimasero alcuni disegni e ricopiature dell’autentico come quella di Rubens, quella di Biagio di Antonio (pittore di scuola Paolo Uccello), quella seicentesca del fiammingo Gérard Edelinck (Anversa 1640 – Parigi 1707), incisore per Luigi XVI, raffigurante la famosa “zuffa per lo stendardo” e quella chiamata “Tavola Doria”, recentemente attribuita a Francesco Morandini (Poppi 1544 – Firenze 1597).

Tutte queste rappresentazioni si possono vedere anche in loco visitando il Museo della battaglia ad Anghiari il cui borgo, non va dimenticato, vanta il titolo di uno dei borghi più belli d’Italia.