La misteriosa Badia Ardenghesca o di S. Lorenzo al Lanzo

Sull’autostrada che da Siena porta verso il mare, un paio di chilometri prima di arrivare a Civitella, una vallata verde e rigogliosa scorre in basso sotto di noi: è la valle del Lanzo, piccolo torrente sulle sponde del quale troviamo i resti di quello che fu un importantissimo monastero già nel secolo XI.

Si chiamava anticamente Abbazia di “S. Salvatore e S. Lorenzo presso il fiume Anzo”, e così continuò a chiamarsi fino al 1178 quando, improvvisamente perse il titolo del primo santo e, a partire dal 1235 (pergamene del 1235, 1238 e successive) aggiunse il toponimo “dell’Ardenghesca”, probabilmente in ricordo dei fondatori o dell’area geografica di pertinenza.

Da allora sempre si chiamò S. Lorenzo dell’Ardenghesca e non venne più utilizzato nemmeno il nome del torrente Lanzo (in origine Anzo).

Un’antica pergamena ci indica che questa abbazia benedettina esisteva già nel 1108, ma a ben leggerla, possiamo spingerci certamente molto più indietro perché gli attori della donazione (Bernardo del fu Bernardo e sua moglie) citano una precedente donazione che già un loro antenato aveva fatto al monastero.

Si trattava di Ranieri di Gualdrada (volgarizzazione del nome di Waldrada), molto probabilmente della stirpe degli Ardenghi, anche se nella storia toscana di quei secoli questi nomi ricorrono insistentemente.

Un Ranieri marito di Waldrada ad esempio fa delle donazioni alla Badia di Passignano negli anni 1016 e 1018. Chiunque sia stato questo Ranieri insomma era un avo di Bernardo e quindi occorre spostare l’antichità dell’abbazia almeno al secolo precedente, l’undicesimo.

Notevole importanza ebbe quest’abbazia nel XII secolo, compreso il privilegio con il quale nel 1124 Corrado Marchese di Toscana la prese sotto la sua protezione imponendo la pena di libbre duecento d’argento a chi l’avesse molestata.

Non mancarono certamente le bolle papali con il quale si gratificava S. Lorenzo dell’Ardenghesca, come quella di papa Celestino II nel 1143, quella di papa Lucio II nel 1144 e quella del 1175 di Eugenio III.

Un certo legame unì da sempre questo monastero con quello di S. Antimo in Valle Starcia ed anche oggi gli esperti di arte e architettura trovano molte similitudini nelle facciate delle due chiese e nelle decorazioni di alcuni capitelli fino a spingersi nel dire che i maestri scultori sembrerebbero provenire dalla stessa scuola.

Nel 1272 ad esempio una bolla di papa Gregorio X a frate Cresci di questo monastero gli comunicò che aveva nominato per loro un nuovo abate e che questi era frate Palmerio dell’abbazia di S. Antimo, Diocesi di Chiusi.

Non fu un episodio isolato e la cosa è ancor più curiosa perché i due monasteri non erano più dello stesso Ordine (S. Antimo aveva abbracciato la dottrina di San Guglielmo) e nemmeno appartenevano alla stessa Diocesi (S. Antimo in quella di Chiusi mentre S. Lorenzo in quella di Grosseto).

In contemporanea alla decadenza degli Ardengheschi, anche quest’abbazia andò pian piano perdendo il suo carisma e nel 1440 (Bolla di papa Eugenio IV) fu affidata alla giurisdizione del Convento di S. Maria degli Angeli di Siena, dell’Ordine agostiniano.

Scendendo dall’autostrada su percorso sterrato la ritroviamo oggi in parte restaurata (era rimasta priva del tetto). Ci colpisce immediatamente la facciata in stile romanico con portico rinforzato. Il volume della chiesa era la navata centrale dell’edificio che in origine ne aveva tre ed era quindi molto più grande.

Belle ed inquietanti le molte figure antropomorfe sui capitelli e sui lati della stessa porta d’ingresso, che ci ricordano appunto S. Antimo, ma anche la Pieve di Ponte allo Spino (Sovicille) e che comunque sono caratteristiche degli edifici di culto nati intorno al Mille. Se non siete amanti d’arte o di architettura il luogo è comunque altamente suggestivo ed essendo in piena campagna concilia la bellezza con la pace.