Occorre tornare indietro di molti secoli, forse addirittura un millennio per trovare tracce di questa ricetta. Sembrerebbe partire tutto dalle primitive focacce in uso nelle campagne senesi alle quali poi aggiunti miele e frutta. Il loro nome era panes melatos (pani mielati), ma con il passare del tempo venne consuetudine arricchirli con frutti di stagione come uva, fichi, mele, mandorle, presenti nel territorio. La frutta fresca però inacidiva dopo pochi giorni facendo prendere al prodotto un sapore rancido. Da qui potrebbe derivare la parola panis fortis e cioè pane acido.
Successivamente con fortis si indicò un composto al quale erano state aggiunte molte spezie o molto pepe. I “pani mielati” divennero “pani mielati e pepati” e nello stesso modo si cominciò a diffondere il sinonimo di panpepato o panpapato.
La diffusione del pepe, spezia di origine indiana già presente nella cucina delle elitès del periodo imperiale romano, nel dodicesimo secolo era largamente diffusa nel senese, anche nelle spezierie che ne facevano un uso farmaceutico.
Solo alla fine del XIII secolo, grazie ai molti mercanti senesi (tra cui il Niccolò Salimbeni citato da Dante nella Divina Commedia), portarono dall’oriente, ogni sorta di spezia. Fu allora che il pepe, ma anche i chiodi di garofano, la cannella, la noce moscata, il garofano, il comino ed anche lo stesso zucchero ebbero una massiccia diffusione.
Essi infatti avevano conoscenze riguardo ai medicamenti, al modo di preparare gli stessi mescolando vari ingredienti di natura animale, minerale e vegetale e va da sé che furono i primi ad inserirle nel mercato dolciario una volta imparate le loro proprietà e peculiarità.
A Siena in particolare l’Arte dei “Medici e Speçiali” aveva avuto una precocità sorprendente, avendo trasportato il sapere antico dai conventi, molti anni prima di altri territori. Essa si era costituita ufficialmente con un proprio “Statuto” chiamato “Breve degli Speçiali” già nel 1355.
Già nel secolo XI infatti, all’interno del grandioso Ospedale del Santa Maria della Scala, esisteva un Collegio di Medici ed una spezieria organizzata, finalizzata all’assistenza sanitaria che si poteva coniugare con conoscenze farmaco-chimiche di un certo spessore.
Numerose sono le testimonianze scritte di questi pani forti o pepati, ma è a partire dal XVI secolo che si affermano come prodotti tipici di Siena. Nel Dittionario Volgare & Latino, scritto nel 1568, abbiamo intanto la certezza che il panpepato era divenuto a tutti gli effetti un prodotto di pasticceria: Pan Papato hic panis dolciarius.
Nel XVII secolo abbiamo tutti i documenti che confermano due distinti prodotti, il panforte ed il panpepato e per entrambi le attestazioni al fatto che si producano in particolar modo a Siena o che quelli senesi siano li megliori.
Se questa è un po’ la storia di questi due prelibati dolci, andiamo ora a vedere cosa dice la leggenda.
Si narra che Suor Leta, monaca e cuoca nel Monastero di S. Ambrogio di Siena, aveva trovato una mattina tutti i sacchetti della dispensa rosicchiati dai topi ed il loro contenuto, tutto mescolato. Poiché doveva preparare degli alimenti per i poveri, pensò di usare tutti quegli ingredienti sparsi evitando di doverli risistemare ognuno nel proprio contenitore. E così, fece scaldare un po’ di miele e vi gettò alla rinfusa canditi, mandorle, farina e spezie di diverso tipo. Mentre era intenta all’impresa, un gatto nero le graffiò le gambe imprecando contro di lei con voce umana. Suor Leta riconobbe nel felino niente di meno che il Diavolo e per scacciarlo gli tirò contro l’impasto bollente. Sentendo tutto quel trambusto accorse la Madre Badessa, Suor Berta, che ringraziò Leta per aver scacciato il Demonio e, visto che c’era, volle assaggiare ciò che ancora rimaneva in pentola. Rimase colpita dal suo gusto buonissimo e dal profumo di quell’impasto e lo chiamò “pan pepato”.
Come sempre accade, in tutte le leggende c’è un briciolo di verità. Uno dei documenti più antichi che attesta i panes melatos e pepatos è una pergamena del 1206, appartenuta proprio al Monastero di cui sopra. Esisteva infatti poco fuori Siena, in località Fontebecci, il Monastero di S. Ambrogio di Montecellesi, fondato circa l’anno 1063. Dai moltissimi documenti ancora esistenti possiamo riscontrare con meraviglia che ci fu effettivamente una “abbadessa” di nome Berta e che fu a capo di quelle monache almeno dal 1087 al 1134.
Dai carteggi invece, nessuna notizia di suor Leta, colei che suo malgrado fu, secondo la leggenda, la protagonista della favolosa invenzione dolciaria.
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