Montesiepi: il mito della spada nella roccia da Galgano a Re Artù

San Galgano e Re Artù: cosa hanno in comune questi due personaggi? Sarebbe troppo facile dare la risposta più logica e cioè quella per cui il primo è realmente esistito, mentre il secondo è frutto della fantasia e della letteratura medievale. Ma a volte l’immaginazione e la realtà hanno confini talmente labili che non si distinguono più l’una dall’altra.

Il nostro racconto parte dalla cosa che accomuna il santo di Chiusdino al sovrano leggendario della Britannia e cioè una spada conficcata nella roccia.

Nel primo caso Galgano Guidotti, poi San Galgano, la infilzò nel terreno a mo’ di croce per interrompere la sua precedente vita di peccatore ed iniziarne una nuova di fede e preghiera, nel secondo caso Artù ne sfilò una dalla roccia (nessuno c’era mai riuscito), dimostrando di essere lui il prescelto a guidare il suo popolo.

La cosa straordinaria di questa vicenda è che nel primo caso una spada conficcata nella roccia esiste davvero ed è visibile da centinaia di anni presso la “Rotonda di Montesiepi”, nel Comune di Chiusdino (SI). Un prodigio miracoloso fatto da un cavaliere di cui, grazie a numerosi documenti storici, è stato possibile ricostruire gran parte della sua vita.

San Galgano (Galgano Guidotti, Chiusdino 1148 circa – Chiusdino, 30 novembre 1181) fu figlio di Guidotto e Dionigia (esponenti della nobiltà locale), ed ebbe una vita giovanile dissoluta e ricca di avventure, prima di provare gli orrori della guerra. Cavaliere come suo padre aveva combattuto in battaglia, ma poi aveva deposto la spada per cominciare una vita da eremita.

La fonte più antica che ci racconta di Galgano è costituita dall’indagine di tre messi papali che nel 1185, dopo la sua morte, si recarono a Chiusdino per avviarne la canonizzazione e constatare alcuni dei miracoli a lui attribuiti. Tra i testimoni ci fu la stessa madre di Galgano, Dionigia, che era ancora in vita e che raccontò in prima persona come la scelta eremitica del figlio fosse dovuta ad alcune visioni nel quale Galgano sarebbe stato invitato da alcuni angeli a costruire un piccolo eremo ad imitazione della domus apostolorum.

Il luogo scelto per il romitorio fu Montesiepi ed il suggello a tale scelta fu messo sul posto conficcando la spada nella roccia nel 1180.

Da questo momento ebbe inizio il suo eremitaggio nel corso del quale il giovane, secondo le deposizioni rese da alcuni testimoni ai rappresentanti del pontefice, “fu visto spesso digiunare duramente, dormire per terra e nutrirsi di erba cruda”.

La notorietà dell’eremita richiamò a Montesiepi molta gente, attirata soprattutto da quella spada che nessuno riusciva a estrarre dal luogo in cui era conficcata.

Sopra il suo primitivo ricovero, venne poi costruita la famosa chiesa detta oggi la “Rotonda di Montesiepi” che conserva ancora oggi la sua spada conficcata nella roccia, mentre la celebre Abbazia, nella pianura sottostante, venne cominciata dai cistercensi nel 1218.

Partendo da quanto scrivono le cronache dunque abbiamo un dato fondamentale che indica nell’anno 1180 quello nel quale nacque la “excalibur” toscana.

La domanda da porsi adesso è: poté questo avvenimento influenzare la “saga arturiana” tanto da esservi inserito dagli scrittori del tempo?

Se così fosse la famosa “spada nella roccia” avrebbe un’unica origine e sarebbe stata copiata dalla vicenda reale avvenuta in Toscana.

Ci sono poi altre domande correlate alla contaminazione del mito arturiano con i fatti di Chiusdino e ci pongono altrettanti dubbi. La “Tavola Rotonda” intorno alla quale i cavalieri di re Artù si siedono, potrebbe essere correlata alla forma rotonda della chiesa costruita sopra la spada di San Galgano? Ed ancora: il cavaliere di Artù che porta il nome di Galvano, potrebbe aver preso il nome dal nostro santo?

Per sgombrare il campo dalle incertezze occorre ricostruire la storia di questi cicli letterari e poetici che hanno radici assai profonde, tanto da spingersi fino al basso medioevo. Si tratta della famosa “materia di Bretagna” definita anche ciclo bretone o ciclo arturiano e tratta di vicende ambientate sia nell’isola Gran Bretagna che nella regione francese della Bretagna.

Tutte le estrapolazioni degli scrittori dei secoli XII e XIII si rifanno a loro volta a scritti, racconti, poesie e sermoni antichissimi, come quelli contenuti nel De Excidio Britanniae di Gildas di Rhuis (VI secolo), o nella Historia Brittonum di Nemnius (IX secolo), o negli Annales Cambriae (annali del Galles del secolo X), dove già compare il nome di Artù e di alcuni personaggi che diventeranno celebri della successiva saga (ad esempio Merlino).

Il ciclo ufficiale nacque però nel 1135 ad opera del prete inglese Goffredo di Monmouth e fu poi esaltato sul finire di quello stesso secolo dai romanzi del francese Chrétien de Troyes (1135-1188 circa), che ebbero il giusto clamoroso successo e sancirono la diffusione in tutta Europa del mito Arturiano.

Credo sia giunto il momento, dopo aver acquisito le precedenti informazioni, di smentire almeno due delle tre ipotesi di contaminazione tra la vicenda di Chiusdino e quella dei cavalieri di Re Artù e cioè che il cavaliere Galvano non ha niente a che fare con il nostro Galgano e nemmeno la “Tavola Rotonda” con la “Rotonda di Montesiepi”. Questo perché entrambi compaiono su scritture precedenti ai fatti avvenuti in provincia di Siena. Il nome di Galgano infatti (noto anche come Gawain, Gawan o Gwalchmei) è citato molti secoli prima, mentre l’espressione “tavola rotonda” risulta già utilizzata nel poema francese “Geste de Bretons” che il prete Wace compose intorno al 1155.

Cosa diversa invece per l’ipotesi più importante e cioè quella della “spada nella roccia”. La prima menzione di una “spada nella roccia” infatti è dovuta a Robert de Boron (fine 1100-inizio 1200), poeta e chierico francese che la inserì nella sua opera in ottosillabi intitolata “Merlin” (Merlino) e che viene comunemente datata intorno al 1190, nove anni dopo la morte di San Galgano.

Ed allora concludiamo affermando che il miracolo della spada di Chiusdino (1180), così come aveva richiamato migliaia di persone da tutta Italia a Montesiepi, compresi gli agenti del Papa nel 1185, potrebbe certamente aver valicato le Alpi ed essere entrata nell’immaginario di scrittori e romanzieri di quel tempo.