C’era una volta Semifonte

Sorgeva una volta, nell’attuale comune di Barberino Val d’Elsa, una cittadina di cui ad oggi risulta assai difficile ritrovare qualche resto, ma che le antiche cronache descrivono come potente e magnifica: Semifonte.

Fondata nella seconda metà del secolo XII dal conte di Prato Alberto IV degli Alberti divenne ben presto uno dei centri più potenti della Valdelsa, grazie alla sua posizione strategica. Essa infatti sorgeva su di un’altura (il nome significa alta sorgente) dalla quale si dominava un bel tratto di val d’Elsa ed anche la via francigena, che in quei secoli rivestiva ancora il ruolo di principale autostrada del commercio.

Questa zona, altamente strategica, era già entrata da tempo nelle mire espansionistiche di Siena e Firenze che, oltre a cercare di ingrandire ciascuno il territorio del proprio comune, avevano anche l’esigenza di limitare l’uno l’espansione dell’altro. Da qui una politica “della carota e del bastone” che vide spesso le due città scontrarsi militarmente, ma altrettanto spesso stipulare accordi di non belligeranza.

Ma se Siena in quell’area particolare manteneva solo un primario interesse di egemonia politica e di alleanze, Firenze si sentiva più minacciata ed era ricorsa più volte a brevi azioni militari contro Semifonte.

Altrettante volte gli Alberti avevano promesso di interrompere la costruzione di fortificazioni nel luogo per poi riprenderle addirittura con maggiore intensità.

Nel 1187 il conte Alberto si presentò a Bologna come testimone al cospetto dell’Imperatore Enrico IV in qualità di «comes Albertus de Summufonte» (Conte Alberto di Semifonte) e ciò assunse un significato preciso: una sfida aperta a Firenze e un messaggio per far sapere che la sua città era sotto la protezione Imperiale.

Subito dopo a Semifonte i lavori di fortificazione si intensificarono in maniera spedita.

Nel 1192 le milizie di Semifonte catturarono il Cardinale Ottaviano, vescovo di Ostia, ma questo religioso non fu l’unico depredato dai semifontesi che però da allora furono visti in malo modo dalla curia romana. Per bilanciamento però essi acconsentirono alla richiesta di possedimenti all’interno della nuova cittadina di beni stabili di due potenti e vicini monasteri vallombrosani: Badia a Coltibuono e Badia a Passignano.

La potenza di Semifonte continuava a crescere e nel 1196 i fiorentini si presentarono per la prima volta sotto le mura della città, assaltando e danneggiando il borgo sottostante. Avendo però danneggiato anche la chiesa della Badia di Passignano, Papa Celestino III lanciò l’interdetto su Firenze.

Ma un avvenimento inaspettato cambiò nel 1197 lo scenario valdelsano: l’imperatore Enrico VI morì e lasciò come erede il piccolissimo Federico II (aveva solo tre anni).

Il partito imperiale sprofondò immediatamente in una crisi profonda e le città toscane cercarono di darsi una visione politico strategica con la famosa Lega di Tuscia (1197-1198). Firenze, che ebbe un ruolo sopra le righe, ottenne un accordo particolare per quanto riguardava i Conti Alberti riuscendo a tenerli ai margini e a non beneficiarli delle intese riservate a tutti gli altri. Rimasero dunque fuori dagli accordi Certaldo, Mangona e Semifonte, i fiori all’occhiello della casata Alberti.

Nel 1198, approfittando della situazione di crisi imperiale Firenze volle dare la spallata definitiva a Semifonte e cominciò il lunghissimo assedio, favorita anche dal nuovo Pontefice Innocenzo III che aveva intrapreso una più forte politica antimperiale.

I fiorentini, dopo aver inizialmente conquistato il castello di Montegrossoli, persero nel maggio 1198 anche quello di Certaldo.

L’anno successivo (1199), stremato dall’assedio ma non domo, il Conte, tentò di imbonirsi il comune di Siena cedendo la metà dei suoi diritti ad un cittadino senese, Scorcialupo da Mortennano, sperando che Firenze rimuovesse l’assedio visto che parte della cittadina era adesso anche di Siena.

Si prospettò allora una possibile caduta di Semifonte e le varie cittadine valdelsane, cominciarono a temere il dilagare della potenza fiorentina nella loro area.

Queste cercarono allora di ricomporre le loro antiche rivalità e nel novembre 1199, proprio dentro la Semifonte assediata, Colle Val d’Elsa e San Gimignano, quest’ultima già alleata con Semifonte, fecero pace e patto di reciproca difesa.

Il nuovo asse semifontese dunque si arricchì temporaneamente di nuova linfa. Colle andava ad aggiungersi ai già fedeli centri minori della val d’Elsa e della Valdera come Montignoso, Castelvecchio, Monteglabro, Montevoltraio e Castello di Pietra.

Ma nel febbraio del 1200 avvenne il tradimento più impensato e fu ad opera dello stesso conte degli Alberti che, per salvare il resto dei suoi beni, si accordò con il comune di Firenze vendendogli la sua metà dei diritti sul castello.

Nel frattempo, anche Scorcialupo da Mortennano cedette alla moglie del conte Alberto, la sua metà del castello di Semifonte che lei girò immediatamente al comune di Firenze, che, a questo punto, era, da un punto di vista legale, la padrona assoluta del castello.

Nel 1201, un ulteriore tassello fu messo a segno dalla diplomazia fiorentina e fu la cosiddetta pace di Fonterutoli tra Siena e Firenze.

Lo scambio in sostanza prevedeva che Firenze non si occupasse più di Montalcino e Siena non si interessasse di Semifonte. Il podestà di Siena Malavolti inoltre garantì l’impegno dei senesi a impedire che Colle Val d’Elsa e San Gimignano portassero qualsiasi rifornimento a Semifonte.

L’accordo di Fonterutoli determinò il cambiamento di campo di Colle Val d’Elsa, ma anche quello di altri alleati come la Badia di Passignano.

Firenze inoltre ricevette finalmente i rinforzi promessi da Prato e Lucca.

Solo San Gimignano continuò a onorare l’alleanza con Semifonte, ma a un certo punto, dopo che Firenze promise loro una sorta di immunità post-bellica, allentarono i rifornimenti.

L’assalto definitivo a Semifonte fu lanciato nel marzo 1202 e stavolta la cosa fu definitiva. Come in tutti gli avvenimenti bellici di una certa importanza, anche su questo aleggia un alone di mistero e di leggenda secondo il quale alcuni disertori semifontesi furono assoldati dai fiorentini e tradirono la loro città aprendo a notte fonda una delle porte, permettendo l’ingresso all’esercito nemico. Molto più attendibile la cronaca del Salvini secondo il quale i difensori di Semifonte erano in numero di cinquemila e gli attaccanti superavano i diecimila uomini.

Terminata l’opera di distruzione, Firenze decretò che su quel colle non si sarebbe mai più potuto costruire nessun edificio. Tale divieto è stato, di fatto, rispettato fino ad oggi, ad esclusione della Cappella di S. Michele, eretta, nel 1597, sulla cima del colle, dopo la faticosa approvazione di Ferdinando dei medici Granduca di Toscana.