Michelangelo Buonarroti e il marmo male abbozzato

Che il David di Michelangelo sia una delle statue più belle del mondo è un dato di fatto, ma la storia di come venne alla luce e quella delle sue vicissitudini forse non molti la conoscono.

Come nei migliori racconti e parafrasando il maestro Collodi vorrei cominciare così: c’era una volta un pezzo di marmo. Un blocco assai grande e nello stesso tempo sfortunato, il quale giaceva da tempo nei cantieri dell’Opera di Santa Maria del Fiore, ovvero la cattedrale di Firenze. Era quasi mezzo secolo che quel blocco marmoreo attendeva di diventare un’enorme statua e per quello era stato portato lì. Inizialmente l’intenzione era quella di scolpirci un grande soggetto da inserire in uno dei contrafforti di Santa Maria e per questo l’Opera del Duomo aveva commissionato tale lavoro, prima ad Agostino di Duccio (nel 1464) e poi ad Antonio Rossellino (nel 1476), ma ambedue avevano fallito. Non solo non c’erano riusciti, ma l’avevano anche lasciato “male abozatum”. A questo punto entra nella storia un altro personaggio, Giorgio Vasari che non solo ci racconterà molte cose sul capolavoro del Buonarroti nelle sue “Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani”, ma fu egli stesso testimone diretto di quei fatti fiorentini che andremo tra breve a raccontare.

Anche lui confermò che il blocco di marmo, prima di venire in mano del Buonarroti era “tutto mal condotto e storpiato, di modo che gli operai di Santa Maria del Fiore […] senza curar di finirlo, per morto l’avevano posto in abbandono“. Finalmente nel 1501 fu affidato a Michelangelo ed i lavori, che iniziarono nel settembre dello stesso anno, si conclusero dopo soli tre anni. Quando il David fu esposto al pubblico non ci fu alcun dubbio che si trattasse di un’opera di rara bellezza e, come affermò lo stesso Vasari: “E certo chi vede questa, non dee curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o ne gli altri da qualsivoglia artefice”. Ed ancora: “ha tolto il grido a tutte le statue moderne et antiche o greche o latine che elle si fossero”.

Il giorno prima dell’esposizione al pubblico però volle vedere il David il Gonfaloniere della Repubblica di Firenze Piero Soderini che, pur non intendendosi d’arte, dall’alto della sua carica volle farsi bello criticandone il naso a dir suo troppo grosso. Fu allora che Michelangelo, per compiacerlo, salì in alto e finse di ritoccarlo con lo scalpello, gettando in testa al gonfaloniere un pugno di polvere che aveva prima preso in mano. “Guardatelo adesso, che ve ne pare?”, disse il Buonarroti. Il Soderini cadde nel tranello ed esclamò “A me mi piace di più!”. Scrisse in proposito il Vasari: “Così scese Michelangelo, e dello avere contento quel Signore se ne rise da sé […], avendo compassione a coloro che, per parere d’intendersi, non sanno quel che si dicono“.

Da allora al David fu data una grande rilevanza civica e fu collocato davanti al Palazzo della Signoria al posto della Giuditta di Donatello come simbolo della libertà e della Repubblica. Alcuni anni dopo, la fazione filomedicea che contrastava quella repubblicana prese a sassate il David, ma fu con la rivolta repubblicana del 1527 che furono lanciate alcune panche dalle finestre di Palazzo Vecchio e al David fu rotto il braccio sinistro.

Fu proprio Giorgio vasari, assieme all’amico Cecco Salviati a recuperarlo e metterlo in salvo dalla folla. Quando salì al potere Cosimo de’Medici i due giovani riconsegnarono il braccio che fu riattaccato nel 1543.

Il David di Michelangelo rimase al suo posto fino al XIX secolo, ma poi, viste le necessità di conservare l’opera si decise di toglierlo dalle intemperie e portarlo (nel 1873) alla Galleria dell’Accademia dove ancora oggi si trova.